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PERCORSI

OBESITA'


L’obesità è una patologia cronica la cui diffusione è in continuo aumento. Nel 1997 L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito l’obesità “un’epidemia globale”, proprio per il continuo aumento della sua prevalenza. Si stima che al giorno d’oggi nel mondo vi siano più di miliardo e mezzo di persone in sovrappeso e circa 400 milioni di obesi.
Numerosi studi evidenziano che l’obesità rapprenda un grave fattore di rischio per:
- diabete mellito di tipo 2
- ipertensione arteriosa
- aumento dei livelli di trigliceridi e colesterolo (dislipidemia)
- aumento dei livelli di acido urico (iperuricemia e gotta)
- insufficienza coronaria e infarto del miocardio
- insufficienza respiratoria e/o apnea notturna
- insufficienza venosa degli arti inferiori

- malattie delle ossa e delle articolazioni (artrosi del ginocchio, ernia del disco, eccessivo carico sull’apparato scheletrico)
- statosi epatica e steatoepatite
- sindrome dell’ovaio policistico e problemi di fertilità
- calcolosi della colecisti
- aumento dell’incidenza del cancro (mammella nelle donne in post menopausa, endometrio, colon).

L’obesità viene definita come una condizione patologica cronica, a genesi multifattoriale, caratterizzata da un eccesso di peso corporeo dovuto ad un abnorme accumulo di tessuto adiposo nell’organismo.

Numerosi studi hanno chiaramente dimostrato che non esiste una sola causa dell’obesità, ma possono entrare in gioco più fattori (genetici, comportamentali, nutrizionali e sociali). L’obesità si verifica quando si altera l’equilibrio tra energia introdotta con gli alimenti ed energia spesa con l’esercizio fisico. In sintesi “quando si introduce più energia di quanto se ne consuma si verifica l’accumulo di tessuto adiposo”.

Dal punto di vista eziopatogenertico, l’obesità può essere distinta in una forma:

  • ESSENZIALE (che copre il 95% dei casi) in cui la presenza di un anomalo incremento di tessuto adiposo non è conseguente ad una malattia di base riconoscibile
  • SECONDARIA ad altre patologie endocrine, a malattie di natura genetica, congenita o metabolica (rappresenta una quota esigua, meno del 5% dei casi).

CLASSIFICAZIONE E IMC (INDICE DI MASSA CORPOREA)


Da un punto di vista clinico, l’obesità viene classificata in base all’indice di massa corporea (IMC) o BMI (body mass index) che si calcola dividendo il peso di un soggetto in kg per il quadrato dell’altezza che si esprime in metri.

Un soggetto viene definito:
- NORMOPESO se il suo BMI è inferiore a 25
- SOVRAPPESO se il suo BMI è compreso tra 25 e 30
- OBESO quando il BMI è superiore a 30

Le classi di obesità vengono poi ulteriormente divise in:
- I con BMI tra 30 e 34,9
- II con BMI tra 35 e 39,9 
- III con valori di BMI maggiori o uguali a 40

BMI : peso (kg )/altezza²(m)²

Va inoltre precisato che questa classificazione necessita di un’interpretazione caso per caso, in quanto non considera, ad esempio, la massa muscolare del soggetto. Pertanto, la stima dell’eccesso ponderale identificata dal BMI deve essere integrata dalle valutazioni della distribuzione del tessuto adiposo. Un altro importante parametro è rappresentato dalla misurazione della circonferenza della vita che permette di stimare la quantità di tessuto adiposo viscerale in modo semplice e veloce.

CIRCONFERENZA DELLA VITA


La presenza di un eccesso di tessuto adiposo in sede intra-addominale è un fattore predittivo indipendente dai fattori di rischio e di morbosità. La circonferenza addominale è correlata positivamente con il grasso addominale e si associa spesso a molti problemi medici, come il diabete di tipo II, l’ipertensione, la dislipidemia e le malattie cardiovascolari. Essa fornisce un parametro clinico accettabile per valutare il grasso addominale del soggetto prima e dopo il trattamento.

Una persona ha un’eccessiva quantità di grasso addominale se la sua circonferenza della vita è:
negli uomini > 102 cm
nelle donne > 88 cm

Da sempre si parla di distribuzione del grasso di tipo androide e ginoide.
Con questi due termini si sottolinea la tendenza del maschio ad accumulare il grasso nella parte superiore del corpo, a livello della regione viscerale dell’addome in contrapposizione alla femmina che tende ad avere depositi di grasso sottocutaneo, nella parte inferiore del corpo, soprattutto nella regione gluteo-femorale (natiche e cosce).
L’accumulo di grasso viscerale determina però un incremento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete, mentre il grasso sottocutaneo non sembra aumentare questo rischio.

Riassumendo:
- obesità centrale (androide) “a mela” più tipica dell’uomo
- obesità periferica (ginoide) “a pera” più tipica della donna

TERAPIA


La terapia dell’ obesità deve essere rivolta ad ottenere un significativo e duraturo calo ponderale, unitamente al trattamento delle malattie associate. Per ridurre l’accumulo adiposo è necessario creare un bilancio energetico negativo: la correzione delle abitudini di vita disfunzionali, attraverso l’educazione alimentare e l’incoraggiamento all’esercizio fisico, rappresenta il primo provvedimento da adottare nel paziente obeso.
Oggi la terapia dell’obesità non ha più come obiettivo il raggiungimento di un peso corporeo normale (il peso ideale), ma un peso definito “ragionevole” che viene identificato in media come il 10% in meno di quello iniziale.

Nella maggior parte degli individui in soprappeso o obesi una diminuzione del 10% determina importanti benefici anche a livello psicologico:
- miglioramento del tono dell’umore
- immagine di sé più positiva
- aumento dell’autostima
- aumento delle relazioni con gli altri

Un calo di peso del 10% è realistico, porta benefici alla salute e contrariamente a dimagrimenti eccessivi può essere mantenuto nel tempo.
Tale risultato riduce significamene la severità dei fattori di rischio associati all’obesità, può essere raggiunto in un lasso di tempo ragionevole e può essere mantenuto nel tempo permettendo buone condizioni di salute, fisiche, psicologiche e sociali.


L’educazione alimentare fa parte, al giorno d’oggi, di quel disease management cioè gestione corretta ed integrata della malattia che vede nel paziente non più un recettore passivo di informazioni ma un decisore competente, parte attiva del suo processo di cura. In pratica in tutte quelle patologie in cui l’alimentazione gioca un ruolo importante l’educazione alimentare è anche educazione terapeutica e deve permettere al soggetto di acquisire e mantenere le capacità che possano consentire di realizzare una gestione ottimale della propria vita seppur in presenza di una patologia o di un rischio di patologia.